giovedì 31 dicembre 2020

Caro 2021

Caro 2021,

Inizi con una grande responsabilità. Ridarci la normalità.

Ci manca il piacere di abbracciarci, di fare festa, di tenerci per mano, di sussurrare parole, di guardarci da vicino. Ci manca il respirarci.

Siamo stati allontanati, e lo sapevamo che non era una condizione adatta all'essere umano, ma viverlo è diverso.

Guardo certi film dove la gente si parla da vicino, è rilassata in casa di amici a festeggiare, abbraccia e bacia all'improvviso, e la mia testa ci mette qualche istante a pensare: si poteva.

Si poteva. E si potrà.

Nella borsa ho una taschina piena di certificazioni. Certificazioni per essere libera di muovermi, per vivere negli spazi necessari. 

Abbiamo visto il nostro mondo restringersi fino a diventare di quattro mura. 

E non è stato bello, e non è bello toccare da parte a parte senza gli spazi grandi di cui il nostro essere ha bisogno e che abbiamo sempre avuto. 

Abbiamo vissuto con la paura. Come in una guerra. Come se fosse sempre imminente un attacco aereo nemico che chiudeva tutti in casa, che uccideva senza criterio. 

E lo stiamo ancora vivendo. 

Da tutto il mondo vedo immagini di persone con la mascherina e di piazze vuote. 

Una comunione mondiale di restrizioni, limitazioni e desolazione. 

Questa guerra non è ancora finita. Siamo in attesa dalla finestra delle nostre casa, pronti a nasconderci per nuovi bombardamenti. 

Ma intravvediamo il cessate il fuoco.

E come sempre, quando la vita ci toglie qualcosa, iniziamo ad accorgerci di ciò che abbiamo perso e a sentire che per noi era importante e ci rendeva felici. 

Caro 2021, il mio augurio è che tu sia l'anno in cui costruiremo qualcosa di bellissimo, fatto di semplicità e normalità. 

Di piccole cose che rendono bella la vita. 


mercoledì 10 giugno 2020

ALLE VITTIME DEL CORONAVIRUS

A voi morti per Coronavirus va il mio pensiero.
Abbiamo così voglia e bisogno di tornare alla normalità che vi abbiamo accantonati. Ci siete, ci siete stati, ma dobbiamo dimenticarvi.

Eppure io sono convinta che dal dolore del lutto che l'intera Italia vi dovrebbe, possa nascere la vera consapevolezza.

Non siete numeri, siete Paola, Maurizio, Luca, Gianna, siete nonni, madri, figli. Siete persone strappate alla vita in modo beffardo, troppo crudele perché chiunque possa meritarselo. Da soli, impauriti, fra uomini e donne trasformati in robot in ampi pastrani, che da dietro una maschera, sudati e di fretta, cercavano di sorridervi. Soffocati. Con il pensiero triste verso un ricordo delle persone care che incredibilmente non vi erano vicine.

Alcuni di voi saranno stati così arrabbiati, altri così tristi. Io spero solo che vi abbiano sedato anche prima di andare in coma o perdere coscienza.

Mi fermo volutamente a pensare alla vostra agonia perché, per non aggiungere altro dolore e fatica a tutti noi chiusi in casa, siete stati trattati come dei numeri, deumanizzati.

Diminuisce il numero dei morti, oggi 27 aprile 333, bene il dato della mortalità, oggi 14 maggio 262. Sono mesi che sentiamo queste frasi. Dopo quel maledetto 27 marzo che si è portato via 919 fra nonni, zii, amici. Ogni giorno era positivo, sempre meno morti, ieri 9 giugno: 79.

Sono spiacente che per tutelare il nostro bisogno di vita, quella vera che tocca l'erba e abbraccia un amico, quella con meno paure, siete stati trattati da numeri positivi.

Adesso cerchiamo di non vedervi neanche più. I giornali non vi descrivono. Solo per caso si riesce a leggere su qualche social il grido di dolore di un figlio straziato che vi pensa, vi ricorda, vi racconta.

Non siete degli eroi, siete le vittime sfortunate di un mondo più grande di noi che urla anche dal basso per farsi rispettare.
Un piccolo virus senza intelligenza, senza forza, senza calcolo ci ha messi KO e voi siete la prova della nostra inconsistenza.

Quindi siete ancora più importanti perché siete coloro da cui imparare.

Spero che uscirete allo scoperto, che dalle vostre tombe urlerete al mondo le vostre storie e la vostra fine. Spero che arrivi presto il momento in cui nessuno muoia più per questa lezione che la Terra ci sta impartendo e si possa piangere per voi e disperarci ricordandovi e provare la vostra frustrazione.

E dopo tutto questo rialzarci cercando di essere migliori.

Elisa

domenica 19 aprile 2020

LETTERA AL CORONAVIRUS

Coronavirus,

mi hai spiazzata. Mi hai atterrita. Mi hai spaventata.

Come tutto ciò che riguarda la natura sei stato totale. Come un uragano, un incendio boschivo, un tifone, un'inondazione, un terremoto. Te ne sei infischiato delle nostre conoscenze e abitudini e hai fatto piazza pulita delle nostre piccole e grandi conquiste.

Per ora hai seminato morte e paura e ci hai rinchiusi in casa, a fare i conti con le nostre fragilità.
Ce lo ricordiamo sempre troppo tardi che non siamo invincibili, forse lo sentiamo davvero solo quando siamo sul finire della vita, o quando viviamo una situazione di grande dolore e malattia.

Con lo strumento più potente che ha a disposizione l'uomo, l'intelligenza, avremo prima o poi la meglio su di te e a quel punto, per prima cosa, andremo a salutare i nostri morti, quelli che tu hai causato e che ora possiamo solo pensare, da soli su un carro funebre, verso l'ultima meta.

Nel frattempo hai ristabilito l'equilibrio per gli altri abitanti della Terra. Hai messo il grande uomo in una gabbia e tutti gli altri fuori a godersi, per un breve momento, quello spazio che sarebbe anche loro ma che noi non siamo disposti a dividere.

Ci hai chiusi in gabbia a cercare di tirare a campare, ognuno con le proprie superflue esigenze, per poi darci l'opportunità di ricordare quali sono quelle indispensabili.

E nessuna di queste esigenze indispensabili passa attraverso la mortificazione della Terra, dell'ambiente e degli altri animali.

No, non sto parlando da paladina ambientalista, sto parlando da cittadina di questo pianeta che si sta ponendo delle domande e sta cercando delle risposte.

Tu, potresti essere un virus che scuote le coscienze. Potresti essere il virus che dovrebbe contagiarci tutti, quello del rispetto verso il nostro pianeta e verso gli altri esseri viventi.
E a quel punto, invece di malattia, diventeresti il vaccino che ha salvato il mondo.


Elisa

venerdì 16 novembre 2018

CARI RICORDI

Cari Ricordi,

arrivate all'improvviso e siete come le lucciole in un campo di notte.

A guardarne una se ne scopre anche un'altra e un'altra e un'altra e all'inizio ci si meraviglia. Spesso ci si china a cercarle meglio, e mai che si riescono a identificare bene i contorni e d'altronde, quando se ne cattura una, perde tutta la sua poesia.

Questa sera mi è arrivato un ricordo inaspettato e sentivo tutto, come se fossi ancora lì, bambina. E' bastato girare la testa nella strada che migliaia di volte ho percorso per ritrovarmi a sette anni, accanto a mio papà, dal Mulino. Il Mulino era un posto in cui vendevano grano e mangimi per animali da allevamento di piccole dimensioni e noi avevamo alcune galline e dei conigli. Mio papà teneva i pantaloni sempre bassi e il cavallo quasi quasi arrivava a metà coscia, aveva il sigaro spento in bocca e il cappello di cotone in testa, sempre, d'estate e d'inverno. Profumava di cemento e calce e con il suo furgoncino si fermava vicino all'entrata e io ero sempre entusiasta di accompagnarlo,di salire nella grossa pesa, di vederlo scegliere il granoturco migliore.
Erano pochi minuti tutti nostri in cui lo accompagnavo a fare i suoi acquisti e mi sentivo importante, solo io insieme a lui.

Adesso c'è uno spazio vuoto al posto del mulino ed è a guardare quel cortile spoglio che è sopraggiunto il mio ricordo.

Poi è stato un susseguirsi. Mi sono venute in mente, chissà perché, le mani morbide e calde di mia nonna, quando mi accarezzava il viso e le sento quasi sulla pelle e sento la sua voce che mi chiama dalla finestra che è pronto il tè. Salivo di corsa quelle scale che qualche ora prima avevo sceso direttamente scivolando nel corrimano e arrivavo madida di sudore e c'era sempre quella mano che mi accarezzava la testa, che non chiedeva niente e mi faceva sedere, mi porgeva lo zucchero, i biscotti, e mi diceva di mangiare con calma che poi sarei tornata a giocare, che non c'era fretta.

E poi ricordo altre mani, quelle giovani, forti e grandi che ho incrociato quando ho infilato la fede nuziale nel dito sbagliato e si sono parlate stringendosi e poi quel sorriso della prima difficoltà superata insieme e il cuore che rideva dell'errore perché era tutto bello quel giorno e la mia amica suonava la chitarra e c'erano tutti, tutte le persone che amavo.

Poi le mani si sono trasformate in quelle secche e asciutte da anziana, tenute strette strette in un letto di morte. Ed erano calde fino alla fine, leggermente calde fino a che hanno potuto e le ho amate infinitamente e le rivorrei qui ogni giorno, quelle mani che sapevano cucire, che sapevano accostare e addobbare, che profumavano sempre, con le unghie pulitissime e curate. E rivorrei quella voce che mi chiedeva 'Te piase'? E ricordo quell'ultima sera in cui qualcosa mi ha trafitta per sempre quando ho sentito quell'ultimo respiro e ho chiuso gli occhi perché avrei ancora preferito il rantolo, lungo ed estenuante ma era il suo, e poi non c'era più. Solo i ricordi, i maledetti ricordi che non riportano mai indietro.

E poi c'è il ricordo più bello. Quello che rivivrei continuamente, quello che porta solo gioia, quello della vita, quello dell'attimo più bello della mia vita. Ed è quando per la prima volta i miei occhi si sono posati su quelli di mia figlia. Il mondo si è fermato in quel momento, il mondo è cambiato in quel momento. L'ho cercata ovunque e poi l'ho trovata lì, in quella stanzetta dall'altra parte del mondo, con la sua tutina gialla, i capelli neri corvini, i grandi occhi curiosi e timidi. Quelle manine così piccole sono state la prima cosa che ho toccato di lei e le ho guardate bene, ogni ditino, e ho infilato il braccialetto di pezza con il gioco nel polso e l'ho vista che ascoltava il suono che emetteva. E mai in vita mia avevo visto qualcosa di più bello. Ho iniziato ad amare come mai saprò amare altri esseri nella mia vita e mi perdo mille e mille volte in quel ricordo, così come per mille e mille volte negli anni prima era stato solo un sogno.

Cari ricordi, è così che vi amo e vi odio. E perché  troppo spesso, restate solo più voi.



Elisa


venerdì 21 settembre 2018

CARA ANIMA FRAGILE


Cara Anima Fragile,

sei lì in ascolto?

Sei lì nel tuo cantuccio?

Come stai?

Lo so, tu parli poco. Tu sei chiusa a riccio, con gli occhi sbarrati, sempre all'erta, per non spezzarti.

Tu sei una persona ferita, impaurita, timida e introversa che a fatica ti affacci nel caos quotidiano.

Sei un'anima fragile e io ti capisco e ti conosco.

Resti senza parole tu, che ne hai così tante in testa, perché questa società è troppo cruda, cattiva ed egoista per una fragile come te.

Non puoi rivelare la tua fragilità altrimenti sei out. Sono tutti così bravi e furbi e migliori che se inciampi e lo riveli è la fine. Ti raccoglierà solo qualche vecchia signora disposta ad ascoltare.

Adesso non si è più buoni. Anzi, esiste anche l'eccezione negativa del termine: buonista, che sta a significare che sei un povero cretino che pensi sia giusto essere buono. Anzi, buono va eliminato come termine. Va usato solo nella giusta opportunità, per esempio puoi essere buono con chi è abbastanza fortunato da stare bene, altrimenti diventa subito uno sfigato e allora se lo si aiuta si è un buonista.

Insomma, questo mondo è crudele e fiero di esserlo.
Non puoi cadere o inciampare. Al limite puoi soffrire un po' ma allora devi o resistere o toglierti dai piedi.

Questo mondo è per chi sta bene, ha poche certezze ma anche poco dubbi e ha una grande fiducia in se stesso.
Questo mondo è per chi non cerca di capire l'altro.

Tu che sei un'anima fragile, devi stare immobile, se puoi ascolti il silenzio.

Ma per lo più devi vivere, essere in questa società che ti sembra così estranea. È per questo che ti cerchi dei rifugi.
Sono cose silenziose, per non disturbare, per passare inosservata. Magari leggi.

Se sono riuscita ad entrare nella tua tana, almeno per un po', per il tempo di questa lettera, sono contenta.
Vorrei dirti che non sei sola ma non è vero. Sei sola.

Non posso darti la mano, non ci si fa più neanche tanta compagnia ormai.

Peró sta arrivando l'autunno e non c'è altro da dire in merito, lo aspettavi e, come sempre, ti piacerà.


ELISA

mercoledì 4 luglio 2018

CARO UOMO GENTILE

Caro Uomo Gentile,

Ti ho visto in metropolitana che leggevi. Ad una fermata sono entrate molte persone, soprattutto donne, tu hai alzato lo sguardo e ti sei alzato.
Senza parlare con nessuno ti sei appoggiato ad una parete di passaggio fra una carrozza ed un'altra e per tutto il tempo del tuo  viaggio, che è durato ancora a lungo, non ti sei più seduto. Ad un certo punto hai alzato lo sguardo per sincerarti che al tuo posto si fosse seduto qualcuno, una donna o una persona anziana, e così era accaduto.



Il tuo gesto senza parole mi è piaciuto.
Provo una strana ansia in certi luoghi affollati con pochi posti a sedere perché ritengo giusto alzarmi, soprattutto per le persone anziane, e ammetto che mi da fastidio vedere uomini giovani e forti seduti comodi e magari donne di mezza età o con figli che si barcamenano in mezzo alla gente, 
Ci ho provato ad alzarmi e lasciare il posto ma non sempre è facile, spesso la persona che vorresti si sedesse si offende nel sentirsi considerata anziana, oppure è timida.
Ciò che bisogna fare è come ti sei comportato tu, alzarsi e lasciare il posto. La gentilezza non chiede, la gentilezza fa.



Non sono più abituata alla gentilezza.
Per lo più si diventa rudi, la stanchezza, la fatica, lo stress del vivere ci rende sempre più ciechi verso gli altri, verso chi per qualche motivo ha più bisogno di noi o per chi ci è vicino e fatica come noi in questo viaggio che è la vita.



La gentilezza, che grande e semplice virtù così dimenticata!



Io vorrei essere più gentile. E' semplice, costa poco, eppure è troppo difficile.
A volte, per giorni interi, non trovo persone gentili e non lo sono neanche io. Ci sono le circostanze, ciò a cui si è costretti soprattutto al lavoro o in famiglia, ma la vera gentilezza, gratuita e pura, è merce sempre più rara e di cui abbiamo sempre più bisogno sia nell'esserlo che nel riceverla.



Si potrebbe barattare un po' di dolore per un po' di gentilezza e il baratto funzionerebbe. Ognuno di noi quando è più solo o triste o stanco potrebbe essere più gentile, così aiuterebbe il prossimo e con lui se stesso.



Soprattutto gli uomini, gli uomini maschi intendo. Sarà che io sono una donna minuta, sarà che a volte mi sento un po' debole e sopraffatta da tutta questa fatica, ma gesti semplici come aprire la porta o fare passare per primi, o lasciare il posto a sedere, sono bellissimi, sono come dei fiori, sono come i sorrisi più ricercati perché alleviano la fatica. Perché io credo che se tu sei sano e forte sei più resistente di me, e allora il tuo atto di gentilezza a me allevia la salita, la vita, la giornata, a te costa poco: il pensarci, l'aprire gli occhi verso gli altri. 



Non è poco ed è ciò che ci serverebbe.
Grazie allora a te, raro e prezioso uomo gentile per quei tuoi minuti in piedi che hanno dato senza chiedere ma che, credo, ti hanno ripagato del bello del dare.

giovedì 10 maggio 2018

AL DOLORE E ALLA GIOIA

Ciao Dolore e Ciao Gioia,


ho creduto nelle frasi de "Il Profeta" di Gibran Kahlin Gibran che dicono:

'Tra voi alcuni dicono: "La gioia è più grande del dolore", e dicono altri, "Il dolore è più grande".
Ma io vi dico che sono inseparabili.
Essi giungono insieme, e se l'una vi siede accanto alla mensa, ricordatevi che l'altro sul vostro letto dorme.'

Le ho lette da ragazzina e sono cresciuta pensando che fosse tutto vero, che voi, Dolore e Gioia, vi alternaste come due punti opposti di una ruota che gira sempre.
E infatti lo dico spesso, "la vita è una ruota".

Ma, in questo periodo, mi sto accorgendo che non è vero perché non mi ero mai accorta che voi due siete ciechi e non siete per niente legati agli estremi della ruota ma scivolate a vostro piacimento, spesso occupando lo spazio dell'altro, senza alternarvi, a seconda della fortuna, del caso, di una pietra che intralcia il percorso della ruota o di un chiodo che la buca.

Conosco persone da sempre molto felici e persone da sempre colpite dai peggiori dolori, in modo assurdo e cieco.

Il comprendere questa casualità mi destabilizza e mi impaurisce, perché mi fa sentire in balia degli eventi, senza alcuna certezza.

Che poi il vero problema sei tu Dolore, mica la Gioia. Della Gioia non se ne ha mai abbastanza.
Io credo che possiamo tutelarci, possiamo agire con ratio e attenzione. Possiamo sforzarci di realizzare sogni ed ambizioni che ci renderanno felici, di prenderci cura di noi stessi, di creare situazioni di benessere, conforto, calore.

E così, quando in certi momenti della vita arriverai, così come sei già arrivato altre volte, Dolore, io avrò creato tanti  cuscinetti che mi aiuteranno ad attutirti, nel limite del possibile.

Ma c'è un'altra famosa frase che mi tormenta in questi giorni e ha sempre a che fare con voi, ed  è l'incipit di "Anna Karenina" di Leone Tolstoj:

'Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.'

Questa volta sembra che voi, Dolore e Gioia, siate destinati a certe famiglie, mentre ad altre no e che quelle più infelici siano tutte infelici in modo diverso. Come se tu, Dolore, avessi tanti modi per esprimerti mentre tu, Gioia, solo uno.
E a questa frase io credo. 

Penso per esempio che sia più facile essere felici in Italia che non in certi paesi più poveri e che chi è nato in un luogo più ricco, ha più possibilità di essere felice, di tutelarsi dal dolore, di curarsi e raggiungere i propri sogni.

Penso ci siano persone che soffrono di più perché in situazione di privazione morale o fisica dovuta all'ambiente in cui vivono.

Io credo che voi due, Dolore e Gioia, non vi alterniate e che siate ciechi, ma dove nascente, spesso, restate e vi adagiate, come foste delle piante che prediligono una certo habitat piuttosto che un altro.


Non smetterò mai di cercarti Gioia, ma so anche che raggiungerti, per me, è più facile che per molti milioni di persone che abitano dove abita il Dolore.


UNA PENSIEROSA




Il Profeta di Gibran Kahlil Gibran, Traduzione di Gian Piero Boria, Edizioni Guanda

Incipit di Anna Karenina  di Leone Tolstoj, traduzione da web.










Caro 2021

Caro 2021, Inizi con una grande responsabilità. Ridarci la normalità. Ci manca il piacere di abbracciarci, di fare festa, di tenerci per man...

AUTORE

BRUSON MARIA ELISA
Mamma di una bimba nata in Vietnam, moglie di un uomo con una sconfinata cultura cinematografica e la passione per la boxe, lavoro come impiegata presso un Istituto Bancario e possiedo una laurea Dams con indirizzo Arte.
Leggo libri e frequento mostre d'arte appena posso.
Amo il mio gatto e le poesie.